Farine e pane
Alimento principale dell’alimentazione nella valle ampezzana era il pane che fino alla fine dell’Ottocento era fatto in casa ogni dieci-quindici giorni. Si impastava la farina con il lievito di birra e si lasciava lievitare tutta la notte. I pani lievitati venivano cotti nella stufa e poi riposti su una rastrelliera di legno. Veniva utilizzata farina di segala, fava e frumento anche se quest’ultima con parsimonia; se c’era la necessità di conservare il pane questo veniva messo a seccare. Il pane secco si spaccava a pezzettini e si metteva a bagno nel latte o nella minestra per ammorbidirlo e poterlo così mangiare.
Alla recita dei rosari in casa del defunto era consuetudine donare ai partecipanti del pane bianco fatto con frumento e comino. Con la farina, oltre al pane, si preparavano anche dei gnocchetti detti peštariéi (un impasto abbastanza consistente di farina, acqua e sale che veniva sminuzzato finemente) che venivano poi bolliti nel latte diluito o cotti in un soffritto di cipolla, farina e burro allungato. Per le occasioni speciali invece, come matrimoni o battesimi, venivano preparati i carafói, ovvero dei crostoli, e il brazolà, una focaccia a forma di ciambella che veniva donata ad ogni invitato a nozze con i carafói posti nel mezzo. In altre festività venivano consumate le fartàies, una pastella fatta con uova, latte e farina bianca fritta nell’olio. La particolare forma della frittella era ottenuta facendo scendere lentamente la pastella da un imbuto mosso in cerchi concentrici sulla padella.
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