Officina di Storie 2021: DoloMythicWomen / Figure femminili nell'immaginario

La Theròsega

C’è una leggenda che si tramanda dalla notte dei tempi. Protagonista era la Theròsega che arrivava qui a Erto per farsi battezzare da San Giovanni. Era il 5 gennaio. Una notte magica, non si trovava acqua in paese perché quella delle fontane smetteva di zampillare e riprendeva a scorrere solo al mattino e le mucche nella stalla, parlavano.
Si diceva che l’indomani l’acqua era nuova e le persone facevano a gara per portare le mucche a dissetarsi. Le prime a berla sarebbero state le migliori bestie del paese.
Anche quell’anno San Giovanni attese la Theròsega sotto il portico della chiesetta di Beórscia.
Lei poco dopo lo raggiunse.
Come sempre gli chiedeva:
- Quest’anno, quest’anno, quest’anno, battezzami Giovanni! Chést an, chést an, chest an, batédheme Dhuàn.
E lui: - Ti battezzerò il prossimo anno!
-E se sarò morta? Dai battezzami questa volta!
- E l' acqua? E l’èga?
- Cara mia, non ce n’è più devi andare a rifornirti un po’ lontano. Devi andare in Vajont dove c’è l’acqua benedetta.
La Theròsega, allora prese i cesti e il bicollo e andando per Therentón arrivò in Vajont.
Ma presto iniziò a nevicare. Quando fu vicino alle case di Genàro non potendo arrivare presso l’acqua Benedetta deviò dal sentiero e pensò fra sè:
- Non è lo stesso se la prendo qui, sul Vajont? San Giovanni di sicuro non se ne accorgerà.
Per contenerla mise un po’ di fogliame e di muschio nei cesti e li riempì.
Rischiò perfino di cadere scivolando su una lastra, la ris’cià àign da sbrisè su na lasta, con le scarpe chiodate.
Soddisfatta, riprese la strada del ritorno.
L’acqua nei cesti non tardò a gelare, mentre lei avanzava affondando nella neve.
Quando fu presso l’antro dei Venarìa sentì odore di fumo e volle fermarsi per scaldarsi o forse si era dimenticata un po’ di cenere per i bambini più cattivi, un tin de thèindhre par i canàis pi trist e poi aveva bisogno di riposare dopo aver sfaticato lungo la riva della Tùara.
Appoggiò i cesti tra i belati delle capre e, annusando e tastando al buio, si avvicinò al fuoco. Si accovacciò accanto al focolare, ravvivò la fiamma e si scaldò.
Sulla panca vide alcune fette di polenta, una crosta di formaggio e mangiò.
E Venarìa, il padrone? Era nella stalla che sognava.
E la Theròsega? Nel silenzio della notte, mentre la neve continuava a imbiancare il paese, si appisolò.
Solo il caprone vegliava e l’odore del muschio nei cesti, attirò la sua attenzione. Con un salto si mise a trascinarli facendoli rotolare lungo i pendii.
Andarono a finire in fondo, nei Gòvoi, dietro ai cespugli. In primavera, Sép de Cionciàile li ritrovò andando a vimini col chiarore della luna calante.
La Theròsega, addormentata, allungandosi sulla pietra del focolare si stava bruciando le calze.
Quando erano ormai fumanti, si svegliò e velocemente senza nemmeno cercare i cesti, si rimise in viaggio.
Fece appena in tempo a fare il suo giro per riempire le calze dei bambini con quattro noci e a malincuore anche qualche mucchietto di cenere.
Al rintocco dell' Ave Maria si affrettò a lasciare il paese. Era proprio vicino all’abitazione del Pìciol de l'Alba, quando spuntarono, da Seurafèuc, gli spiriti vestiti di bianco, la Scòla dal Bón Dhùac. Lei riuscì a svicolare e sparì verso Valdenère, dietro ai faggi.
E anche per quell’anno rimase senza battesimo. E àign par che l’an l a restà da batiè.


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Autore

Fulvia De Damiani - Associazione Ecomuseo del Vajont - continuità di vita

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