Scuola a tempo pieno
La scuola primaria di Prato Carnico è stata una delle prime scuole in Italia ad adottare il modulo organizzativo del tempo pieno. Nell’anno scolastico 1971 – 1972 la Comunità della Val Pesarina, dopo un percorso partecipato che coinvolse non solo l’Istituzione scolastica, l’Amministrazione comunale e le famiglie ma anche le Parrocchie, le associazioni e l’intera Comunità, scelse il tempo pieno come risposta a due esigenze: da un lato la necessità di razionalizzare i diversi punti di erogazione del servizio sparsi fra le frazioni del Comune (frequentati ormai da una manciata di allievi in pluriclasse), dall’altro la volontà di dar corpo ad una strategia organizzativa del tempo libero dei bambini e delle bambine offrendo universalmente loro delle opportunità di formazione che andassero oltre i curricola tradizionali in un contesto di lontananza dalle opportunità dei centri maggiori. La creatività didattica che ne è seguita ha fatto della scuola di Prato Carnico un vero e proprio modello di integrazione scuola-territorio, un modello che è stato oggetto di studio e ricerca per tutti gli anni ’80. I bambini e le bambine di quegli anni hanno vivo il ricordo di una scuola innovativa, dove la tuta da ginnastica aveva sostituito il grembiule e dove si facevano diverse attività legate alla multimedialità ed allo sport grazie alla dotazione di una telecamera, a strumenti di percussione, alla presenza di una piscina e di impianti di risalita (ora non più esistenti) nelle vicinanze.
Congiuntamente al tempo pieno vennero organizzati in valle i servizi di mensa scolastica e trasporto scolastico che a tutt’oggi il Comune gestisce in economia diretta. Nei plessi di Prato non esistono i cibi preconfezionati, la polenta è fata nel paiolo e gli gnocchi a mano e tutto viene preparato in giornata utilizzando, per quanto possibile prodotti locali.
La scuola primaria è, da sempre, il cuore pulsante della Val Pesarina. Essa rappresenta il principale collante della comunità e delle sue generazioni, autentico riferimento identitario ed istituzionale, sapendo, nell’insieme dei suoi operatori, aprirsi al territorio, e divenendone parte attiva e propulsiva ma anche la nostra “frontiera”, limite oltre il quale c’è solo l’abbandono ed il pericolo di un significativo impoverimento culturale.
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