Scarpeth e scufons
Quali erano le calzature che le nostre nonni e nonne calzavano per attraversare i passi e percorrere i sentieri di montagna carichi di fieno o foglie e le vie e contrade di paesi lontani dove andavano a vendere gli utensili prodotti durante i lunghi inverni? E alle volte le stesse calcature prodotte in casa.
L’uso delle scarpe era molto limitato, costituiva un lusso ed era usato solo nelle grandi occasioni, prima di tutte quella delle nozze e delle festività religiose più importanti.
La calzatura più usata era quella di stoffa, gli scarpetti, pazientemente realizzati dalle donne che in una realtà povera e contadina quale era quella friulana, rappresentavano la volontà di non sperare nulla. Gli anziani rammentano ancora oggi i rimproveri che ricevevano da bambini quando pioveva e osavano portarli, e il dover camminare scalzi nascondendoli sotto il braccio per non rovinarli; così come li toglievano quando dovevano allontanarsi dal proprio paese per calzarli nuovamente solo nei pressi di un altro centro abitato.
Queste calzature basse e senza tacco erano costituite da una tomaia di velluto o frustagno, nero o marrone, quelli per la festa erano generalmente di velluto nero, di migliore qualità e abbelliti da ricami floreali o da una coccarda, mentre quelli del lavoro erano prevalentemente di frustagno , disadorni e spesso venivano rinforzati con una suola in gomma ottenuta da vecchi cartoni di biciclette o moto.
A seconda della zona potevano avere la punta piatta, arrotondata o ancora rivolta in alto, con una scollatura tondeggiante più o meno ampia a volte fornita di pie, cioè di apice rivolto all’indietro. Il materiale per la suola veniva riciclato da abiti logori o stoffe di casa ormai inservibili tagliati a rettangoli e soprapposti uno sul’altro che poi venivano fittamente trapuntati a mano con lo spago. Era questa l’operazione più lunga e faticosa che le donne, con forbici e tenaglia sempre legate attorno alla vita, eseguivano mentre si recavano a lavorare in montagna con la gerla carica sulle spalle, o la sera riunite in stalla per il filò. Tomaia e suola venivano poi unite manualmente tra loro con una striscia di stoffa. Nelle scarpette per i bambini si aggiungevano una cinghietta e un bottone in modo da poterli tenere ben saldi al piede.
Inizialmente confezionati per uso personale sono, nel tempo, diventate merce di scambio nel commercio ambulante e dalla cucina domestico sono nati piccoli lavoratori artigianali che hanno ampliato la loro produzione e diversificato materiali e tempi (a Claut c’è ancora un laboratorio artigianale che produce gli scarpeth)
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