Al tempo del "Cason"
Non serve tornare tanto indietro nel tempo, basta arrivare a metà ‘900. Si cominciava da giovani a lavorare nei boschi, anche a 14 anni; spettava ad una persona adulta, con esperienza e soprattutto con tanta pazienza, insegnare il mestiere. Fin da giovanissimi ai ragazzi veniva spesso affidato il compito di ripulire il bosco dalle ramaglie e dalle cortecce lasciate al suolo dai boscaioli dopo il taglio; e così, spesso accompagnati dalle madri, con gerla in spalla o carretti, lasciavano di buon mattino il paese per raggiungere a piedi il bosco da ripulire. La foto che vi proponiamo oggi, il cui ingrandimento è esposto nel Museo del legno e della Segheria Veneziana di Aplis (Ovaro), ritrae un ragazzo impegnato della pulizia del bosco e fa parte dell’archivio del fotografo Giuseppe Schiava, vissuto a Sutrio tra il 1879 e il 1963. Alcuni ragazzi diventavano boscaioli o, finché erano ancora troppo giovani per sostenere il duro e pericoloso lavoro nei boschi, garzoni tutto fare. Com’era il lavoro nel bosco allora? Si cominciava a lavorare alle 7 di mattina e si finiva alle 5 di sera, da aprile a novembre, neve permettendo. Se il bosco era vicino ci si alzava anche alle 5 del mattino per raggiugerlo a piedi e si rincasava a sera finita la giornata. Ma se il bosco non era vicino casa i boscaioli rientravano a casa solo alla fine della settimana, di sabato. Ma dove si preparavano colazione pranzo e cena? e dove dormivano? Nel casone (“casòn” come viene chiamato in Carnia). Il Casone veniva costruito dagli stessi boscaioli subito fuori dall’area da disboscare, possibilmente in una radura. Per la sua costruzione veniva utilizzata materia prima proveniente dal bosco stesso e l’edificazione richiedeva giorni di fatica. Una volta terminati i lavori di esbosco il casone poteva essere smontato senza lasciare traccia e ricostruito altrove, seguendo l’avanzata dei lavori. Insomma, l’impatto ambientale era prossimo a zero e il riutilizzo massimo! Si trattava di un alloggio la cui dimensione variava a seconda del numero di boscaioli che doveva ospitare, era ad un piano, poco più alto di 2 m e a base rettangolare, formato da tronchi scortecciati grossolanamente e squadrati lunghi anche 20 metri disposti uno sopra l’altro e incastrati ai quattro angoli. Le fessure tra i tronchi venivano coperte con muschio così da assicurare un minimo di isolamento termico, soprattutto durante i mesi più freddi, quando non erano da escludere possibili nevicate. Il tetto a spiovente a coperto da scandole (tegole in legno generalmente in larice) o scorza. Oltre alla porta d’ingresso non vi erano altre apertura o finestre. All’interno del casone c’era un’unica stanza che fungeva da cucina e dormitorio con al centro il focolare per preparare il cibo e riscaldare l’ambiente. La preparazione e la distribuzione del cibo era un’attività importantissima. Spettava sempre al più giovane della squadra, lo “scoton” (garzone tutto fare), il compito di alzarsi presto al mattino e raggiugere una vicina malga per prendere il latte per la colazione e a mezzogiorno portare il cibo preparato dal cuoco nel casone. A fine della giornata, dopo cena, tutti attorno al fuoco alla luce della lampada a petrolio, giocavano a carte e raccontavano storie per passare il tempo e per sentire meno il peso della fatica. Chissà a quanti in quelle sere sentivano la mancanza degli affetti più cari e il calore del fuoco del focolare domestico. Ma il tempo passava e presto avrebbero riabbracciato la moglie, i figli, sarebbero andati a ballare nelle feste di paese con gli amici, si sarebbero trovati per una chiacchierata in piazza dopo la messa della domenica, avrebbero passeggiato per le vie del paese…
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