Falciare in pendenza

FALCIARE IN PENDENZA
Estratto dal Quaderno n° 1 del Museo Àngiul Sai di Costalta 'Montagne d’erba' a cura di Piergiorgio Cesco Frare
[nella foto gli addetti alla fienagione con sullo sfondo le strisce dei colnéi]
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Già ab antiquo alcune superfici d’alta montagna erano riservate solo allo sfalcio presentando un tappeto erbaceo più folto e ricco che sarebbe stato poco economico destinare al pascolo. Il fieno di monte, anche perché ritenuto assai energetico, era molto ricercato talché, nella
fascia compresa tra il pascolo dei bovini in basso e quello degli ovini in alto, non v’era fazzoletto di prato appena raggiungibile che non fosse oggetto di cure e sfruttamento come falciativo.
Le Regole (formate dalle famiglie originarie del territorio) concedevano i prati di alta quota in usufrutto ai capifamiglia, dopo averli suddivisi in colnéi 'colonnelli’
costituiti da una lunga striscia di prato disposta ortogonalmente alle curve di livello. Non essendovi confini segnati sul terreno, per individuare il singolo lotto si faceva riferimento al fucé ovvero alla lunghezza del manico della falce, il quale aveva una misura standard di circa 1,8 m. Il colnél cominciava in basso con una larghezza di due o
tre fucés e in alto poteva raggiungere anche quella di cinque unità per adattarsi all’eventuale conformazione ad anfiteatro del terreno.
La fienagione in monte cominciava verso il 15 di agosto festa dell’Assunta (la Madòna d Agósto) secondo la consuetudine antica. Infatti, l’articolo 35 del làudo del Comun di Oltrerino (San Pietro di Cadore) dell’anno 1575 dispone che 'nessuno ardisca segar herbe nel pascolo del commune né in montagna avanti tempo cioè avanti la festa di santa Maria del mese d’agosto, e se alcuno contrafarà, li sia levata senza rimissione la penna di soldi cinquanta ed il fieno segato sia del commune'. In tempi recenti questa norma poteva conoscere deroghe in relazione all’andamento meteorologico.
Falciare sulle ripidissime pale richiedeva molta accortezza per non scivolare sull’erba umida del mattino e, in certi casi,
era necessario calzare una sorta di ramponi detti grife o stafête.
In tali condizioni di estrema ripidezza del terreno era anche molto difficile segare l’erba tenendo la falce fienaia per le maniglie e occorreva impugnarla per il fucé a mo’ di falcetto. Sulla sòla, il tappeto erboso uniforme prodotto dalla costante falciatura, si poteva camminare a
piedi nudi ma le rodlarêse 'donne addette a rastrellare l'erba segata' affrontavano i pericolosi pendii scalze
togliendosi le tarale 'zoccoli' e affondando gli alluci nel manto erboso.

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Museo Etnografico Casa Angiul Sai

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